Giovanna Perdichizzi: "in la minore"
La sua raccolta in la minore pare proporsi come la storia di un amore sofferto. E, come quello della poetessa del tiaso, si anima di pensieri che colano come miele: sospinto quasi ovunque da una fisicità delineata ma mai urlata, nei suoi versi si narra il senso dell’abbandono, dell’abbraccio negato, delle parole lasciate irrimediabilmente sospese. E sarà forse per questo che i baci associati alle ferite o le lacrime di sale sono le immagini più ricorrenti.
Della poetessa "folle" Giovanna Perdichizzi conosce invece la tentazione di annullarsi nella carne e impazzire nel ricordo, fermandosi tuttavia sul discrimine labile tra salvezza e perdizione: E ora stolta ancora / attendo di vivere. Poetessa capace di note classiche che ha evidentemente fatto sue, ma anche di colori da poesia decadente e di accostamenti sensoriali icastici (il cuore […] / ubriaco di stelle; I capelli / a ciocche argentee), persino di un omaggio montaliano nel meriggiare di un sogno, la Perdichizzi costruisce attraverso l’immagine delle stelle un suo costante fondale fedele.
Tuttavia, nel rincorrersi di rimpianti, nella tentazione amorosa del recriminare, nel racconto delle occasioni mancate è il mare con i suoi schizzi e con le sue carezze, con la traiettoria silenziosa dei suoi gabbiani a farsi per l’autrice paesaggio rassicurante. È sulla sabbia bagnata che le figure chiave di questo suo racconto infelice si incontrano per non congiungersi mai. È davanti alla linea dell’orizzonte che Giovanna, in mancanza di un lieto fine o di una redenzione, dà l’impressione di sentirsi nonostante tutto a casa.